Il dramma del lutto
E adesso vi chiederete cosa centra un argomento di tale portata, più adatto a uno psicologo o ad un filosofo piuttosto che ad un modesto autore di thriller e gialli. Beh, l'antologia di Favole Inquiete è stata concepita proprio con l'idea di mettere in scena lo specchio incrinato della nostra società affrontando fobie, drammi, orrore, turbamenti e tutte quelle zone d'ombra che lasciano l'uomo in balia del suo animo inquieto.
Ho lasciato come ultima presentazione il racconto più difficile, quello che più d'ogni altro ha toccato la mia sfera emotiva costringendomi a calarmi in una sorta di catarsi purificatrice nel tentativo di liberarmi da angoscia e dolore. "Eterno ritorno" è stata la discesa nell'abisso personale più profondo, quello della perdita, del distacco definitivo da chi ci è più caro, si tratti di genitore, coniuge, figlio o anche soltanto un amico carissimo. Quello che più spaventa credo sia proprio la parola definitivo, elaborare un lutto vuol dire per prima cosa accettare l'evento distacco come ineluttabile perché la morte è parte della vita, ma spesso anche questo passaggio non è sufficiente e, pur provando a mitigare il dolore attraverso religione e spirito, il vuoto che si crea nel nostro cervello rimane incolmabile. Non siamo mai preparati a perdere chi amiamo, anche quando pensiamo di esserlo.
Il protagonista del racconto odierno altro non è che una mia proiezione mentale, l'ombra di un uomo prigioniero del muro di sofferenza e instabilità innalzato dal suo cervello. Un meccanismo che più semplicemente chiamiamo depressione. Il loop temporale scandito da questa storia strizza l'occhio alla teoria dell'eterno ritorno di Nietzsche, con la congettura che la vita che noi viviamo la vivremo esattamente nello stesso modo per l'eternità.
Non voglio aggiungere altro a questa intro se non che nel mio caso scrivere Eterno ritorno è servito a esorcizzare il dramma della perdita e a prenderne atto osservandolo dall'esterno con occhi diversi. In qualche modo posso dunque affermare che sia stato terapeutico.
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Una toccante immagine AI del protagonista |
A Raffaella (1965-2023) e a mia madre (1931-2022)
Breve incipit del racconto
Eterno ritorno
Incubo o realtà? Se lo chiedeva tutte le mattine al risveglio. Era il primo pensiero della sua giornata, il primo frammento lucido che lo scaraventava senza alcun garbo al di fuori di quel mondo onirico per abbandonarlo in un abbraccio fatto di sofferenza e rimpianti. Stirava gli arti irrigiditi dalla solita notte quasi insonne trascorsa a cercare una posizione e poi allungava il braccio tastando al suo fianco. Quella porzione di letto era tesa e ordinata con il guanciale fresco e stirato, senza una grinza. Nessuno aveva dormito al suo fianco. Era da un anno e mezzo che nessuno lo faceva più perché lei se n’era andata. Oltre trent’anni insieme sono un’era geologica che ha stratificato ricordi indelebili: c’erano stati passione e comunicativa, rispetto e tolleranza… persino amicizia. Sì, amicizia. Gli piaceva quando, dopo aver appena finito di fare l’amore, gli ripeteva: “sei il mio uomo, il mio amante, il padre di mia figlia… ma sei soprattutto il mio più caro amico.”
Sembrava l’idillio potesse durare per sempre e crescendo insieme avevano iniziato a parlare della vecchiaia. Incondizionatamente, senza alcuna paura, esorcizzandola perché si vedevano ancora uniti mano nella mano con gli sguardi rivolti verso il mare come se quell’orizzonte per loro non dovesse avere mai fine; con la pelle avvizzita e qualche vuoto di memoria, pieni di acciacchi, magari, ma ancora insieme. Poi un giorno, il fato aveva deciso per entrambi che l’eden in terra non era cosa buona e gliel’aveva portata via.
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