Serial...stories

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Nuova pagina dedicata a tutti coloro che, oltre ad apprezzare il mio stile di scrittura, amano generi e ambientazioni dai quali prendono vita i miei personaggi. Ogni mese sceglierò un racconto da proporvi che verrà sezionato e proposto a puntate, corredato poi dal contributo di foto e/o video che ne accompagnano la promozione. 


Serial Killer-s


Vincitore del Primo premio Feltrinelli-SEM giallo in libreria 2022




Milano, 1957


Vi è mai capitato di andare in paranoia per una fissa mentale?

La mia fissa non aveva un nome, ma le sue fattezze erano talmente impresse nel mio cervello da aver creato la matrice perfetta e ogni qualvolta mi avvicinavo all’ideale di quelle forme, un turbamento inestinguibile finiva per rapirmi. 

In quell’occasione capitò per puro caso, entrò nella mia vita come un dolce tormento e non faticai un istante a riconoscerla: viso d’angelo, occhi cerulei e una chioma rossa che esaltava il suo pallore lunare rendendola quasi eterea, una ninfa dei boschi appartenente a leggende lontane… solo che le rocce erano scaffali ordinati e gli alberi, torri di libri bene impilati pronti per diffondere la loro conoscenza. 

La ospitavano due strette vetrine, un piccolo antro del sapere nel cuore di una Milano che dal dopoguerra non si era stancata mai di crescere e di evolvere, e quella piccola libreria a due passi dal Teatro alla Scala rappresentava la pietra angolare di un quartiere avido di vita, ingordo di progresso. Ci passavo davanti ogni sera al ritorno dal lavoro, una piccola deviazione fino al dodici di via Manzoni per poter viaggiare, almeno con lo sguardo, fra decine di copertine colorate e titoli intriganti, pronto a carpire, senza dare nell’occhio, le news dai quotidiani internazionali che venivano esposti sulla rastrelliera appesa all’esterno. 

Un giorno finalmente mi decisi al grande passo. Sfilato il borsalino con rispetto, come si fa quando si varca il portale di una chiesa, oltrepassai quella soglia iniziando a girovagare fra vecchi amici coi quali già da tempo c’eravamo presentati: Proust, Kafka, Tolstoj, Melville, Wilde, Goethe, la Shelley… Era stato bello ritrovarli anche se non li avevo mai lasciati veramente, ma stavolta non era per cercare la loro compagnia che ero entrato. Dovetti attendere con trepidazione affinché il suo sguardo mi scegliesse fra i pochi astanti e, seppur fra di noi non vi fu alcun contatto, compresi in quel momento che il futuro sarebbe stato nostro.

La settimana successiva, puntuale come un amante impaziente, non trascorse sera senza ch’io mi consegnassi a quel salotto letterario respirando l’odore di carta nuova, sfogliando testi per saziarmi di brevi stralci, ma soprattutto analizzando con discrezione la misteriosa creatura che con grazia inaspettata si muoveva tra gli scaffali riordinando i libri.

Il suo cavallo di battaglia era un abitino di lana corto, color inchiostro, ingentilito da un colletto bianco bon ton e spezzato in vita con una cintura panna dalla grossa fibbia tonda. Il tocco finale erano delicate scarpette di vernice senza tacco che conferivano quella nota acerba di un germoglio ancora da cogliere. La mia piccola Audrey Hepburn pareva appena uscita da “Colazione da Tiffany” mentre calcava il suo palcoscenico con  raffinata e malinconica bellezza. 

Sapevo di averla colpita. La mia costante presenza serale in libreria l’aveva quanto meno incuriosita e, anche se non si era mai sbilanciata andando oltre al formale rapporto dovuto al suo lavoro, io cercavo ben altro dei sorrisi di circostanza o dell’asettico scambio di saluti nell’istante in cui entravo e uscivo dal negozio.

A volte mi capitava di osservarla per lunghi tratti mentre colmava di premurose attenzioni altri avventori, ed io non potevo fare a meno di invidiarli perché parevano immuni all’incanto che forse nemmeno lei stessa era inconsapevole di sprigionare. E quando notavo espressioni infastidite verso la mia gentile commessa che tentava di proporre un libro con l’ardore tipico di chi lo ha amato, mi struggevo supplicando che venisse da me, io e soltanto io sarei stato capace di ascoltarla per ore ripagandola di tanta dedizione. 

Ma era chiaro che lei non avrebbe mai superato la barriera che ci divideva e sarebbe toccato a me prendere l’iniziativa: entrare nel suo mondo per portarla nel mio. Misi in atto un disegno alquanto semplice, l’unico approccio che senza voli pindarici ritenevo possibile ero quello di comportarmi da cliente appassionato e conquistarmi con discrezione la sua fiducia così da dimezzare la distanza fino ad annullarla… perché io non ero un cliente come un altro. Non volevo esserlo. 

Prima di propormi pensai parecchio verso quale testo mi sarei dovuto indirizzare per far colpo su di lei: il grande classico riportava a un uomo colto e raffinato e aveva una certa prevalenza sugli altri generi, tuttavia, anche uno scritto inedito, segno di apertura, oppure una raccolta di poesie, sintomo di animo garbato, mi lasciarono dubbioso sino all’ultimo. Alla fine osai cogliere il frutto proibito di una storia d’amore, perché così l’avrei costretta ad accarezzare l’argomento del quale la consideravo dea e avrei potuto soppesare direttamente dalle sue labbra quanta passione albergasse in lei, seppur limitata alla mera narrazione di un racconto.

Era un giorno di fine novembre, di quelli dove la nebbia s’inghiotte anche il grigiore del cemento e le insegne luminose delle vetrine sono fuochi fatui che danzano nell’etere. Il freddo serale iniziava a mordere le dita e il caotico sferragliare dei tram fungeva da rumorosa colonna sonora di fine giornata, ma tra la bruma autunnale mi apparve come sempre l’isola felice, consapevole che stavolta non mi sarei accontentato di vite confezionate su carta… avrei avuto tutto o niente. 

Indossavo una sciarpa rossa bene avvolta sopra il cappotto grigio perché anche il colore del desiderio contribuisse a sciogliere la patina di indifferenza che non ci aveva ancora fatti aprire l’uno verso l’altro.

“Mi scusi, signorina, oggi vorrei fare un regalo ma non so bene come orientarmi, sarebbe così gentile da darmi qualche suggerimento?”

“Ma certo, farò il possibile per aiutarla, se ha pensato di regalare un libro qualcosa che piace si trova sempre. Posso chiederle a chi è destinato e se conosce i suoi gusti in fatto di lettura? ”

Parlava con quel tono tiepido e rassicurante che avevo udito molte volte rivolgersi ad altri clienti, ma questa volta era a mio uso esclusivo.

“No, purtroppo non conosco quale sia il suo genere preferito e per la verità la frequento anche da poco; si tratta di una giovane donna, una persona fine, di belle maniere e dall’aria romantica e sognante; avevo pensato a un libro sentimentale, ma non ho molta dimestichezza con quel tipo di racconti e non saprei davvero quale scegliere.” 

Non so come diavolo mi fossero uscite quelle parole perché non avevo fatto altro che parlarle di lei ed ero andato già ben al di là di quanto mi fossi riproposto.

“Se ha inquadrato così bene la persona è quasi sicuro che con un romanzo d’amore la farà contenta. Abbiamo una scelta molto vasta, le proporrei almeno quattro o cinque libri che potrebbero riscuotere l’approvazione della sua amica; venga, le faccio vedere, il settore dove li teniamo è quello laggiù.”     

Trascorsero minuti di estatico ascolto nell’udire i suoi consigli incentrati sul filone amore e dramma, poi, grazie ad un quesito, arrivò la svolta.

“Ma se invece dovesse comprarne uno che assolutamente vorrebbe leggere lei, quale sceglierebbe?”

Spiazzata dalla mia domanda restò titubante per un solo attimo, quindi si pronunciò con enfasi.

“Il Sogno della Camera Rossa, penso, è di un autore cinese poco conosciuto al grande pubblico qui in Italia, ne è uscita da pochi mesi una versione ridotta. Ma non è un libro per tutti, sono due volumi e oltre mille pagine, non mi sentirei di consigliarlo senza prima conoscere la persona che dovrebbe leggerlo.”

“Prenderò questo.”

“Ma non vuol sapere prima di cosa parla?”

“Ho totale fiducia del suo buongusto letterario.”

La mia ferma risolutezza l’aveva sorpresa, forse le aveva aperto gli occhi. Per qualche attimo, andando a prelevare il libro per portarlo alla cassa, non proferì parola e il suo sguardo si tenne ben distante dal cercare i miei occhi. Notai un lieve tremore delle mani mentre infilavano i due pesanti tomi nel sacchetto e questo mi spinse ad andare fino in fondo giocandomi il tutto per tutto.

“Non lo porto via… è per lei, vorrei lo considerasse un dono alla sua gentilezza. Ma se non l’accetterà le prometto che non mi offenderò, sparirò da quella porta e non mi vedrà più qui in negozio a importunarla.”

Ah, la sua timidezza… quel pallore lunare che subito prese vita tinteggiando in un rosa più acceso le guance di porcellana, il lieve fremito di labbra che cercavano di negarsi senza riuscirci e quel volto angelico che tentava di celarsi pudico fra le ciocche ramate. 

Che emozione fu per me, che momento di impagabile euforia.

“Io… non posso… mi creda… davvero… le sono grata ma…”

Tra tanto balbettare, con un briciolo di cortese insistenza, finì per accettare.

“Mi chiamo Romeo Farri, lavoro come commercialista in uno studio poco oltre via Manzoni.”

“Il mio nome è Giulia Sarfatti, piacere, sono tre anni che faccio la commessa per la Feltrinelli.”

E così ci eravamo anche presentati, un po’ formali certo, restando ognuno sulle “sue”, ma come non notare che era stato il destino stesso a volerci unire facendosi scherno dei nostri nomi, avvicinando un Romeo alla sua Giulietta nella più tragica evocazione dell’amore di tutti i tempi. 

E rispettando la tradizione, in tragedia sarebbe finita.

Inizialmente la nostra frequentazione non varcò mai la soglia della libreria: ogni sera passavo puntuale dal negozio intorno alle 18:30 anche solo per farle un saluto dalla vetrina, mentre spesso restavo fin quasi all’orario di chiusura gironzolando tra testi di narrativa, codici e manuali, senza per altro infastidire l’avvenente Giulia se non per discutere la trama di un libro, tanto che le altre due commesse non si erano nemmeno accorte che la mia costante presenza avesse ormai un'unica fonte di richiamo. 

Cinque giorni a Natale e feci il passo decisivo: la invitai a cena in un intimo ristorantino a due passi dalle Colonne di San Lorenzo.

Si presentò all’appuntamento con un cappottino di pelliccia che doveva aver tenuto da parte per un’occasione speciale, e la nostra indubbiamente lo era, io con un mazzo di roselline e lo sguardo perso di un innamorato. Il resto lo fecero un tavolino in un angolino appartato, il riverbero caldo della candela e il vociare lontano della gente ovattato dai fiocchi di neve che si attaccavano alle vetrine: come non definirla la serata perfetta?

“Allora Romeo, forse è arrivato il momento di conoscerci meglio, ho accettato volentieri l’invito ma a parte i tuoi gusti letterari non so nient’altro di te.”

“Non c’è molto da dire. Vivo solo, ho pochissimi amici e faccio il revisore di conti per alcune ditte lavorando a contratto presso commercialisti; questo mi costringe a spostarmi in giro per l’Italia di continuo, un’occupazione di una certa importanza e alquanto grigia. Ma ora basta parlare del mio lavoro, è fatto solo di numeri e non farebbe altro che annoiarti. Tu sei parte dei libri che vendi, c’è il sole nei tuoi occhi quando racconti le storie che leggi… è di te che voglio parlare.” 

“Sei romantico… lo trovo strano in un uomo che si dedica ai numeri… comunque anch’io vivo sola, i miei stanno in un paesino semisconosciuto dell’Umbria, sono venuta a frequentare l’università qui a Milano, poi ho trovato lavoro e mi sono fermata.”

“Posso chiederti se hai qualcuno a cui tieni… sì, insomma, hai capito, no?”

“C’è stato. In passato sono stata fidanzata per qualche tempo poi qualcosa non ha funzionato. Se non fossi stata libera, stasera non sarei uscita con te.”

“Oh lo so, si vede che sei una ragazza a posto… seria, intendo dire, e non era mia intenzione metterlo in dubbio con la domanda ma vedi, io… so che sembra quasi ridicolo parlare per frasi fatte, però da quando ti ho visto attraverso quella vetrina non ho fatto altro che pensare a te… a noi due… a come sarebbe stato.”

Ancora la testa bassa e quell’adorabile rossore mentre imbarazzata cercava di sistemare il cerchietto tra i capelli, quindi, con uno sforzo che le si leggeva immenso, mise da parte la timidezza e allungò il braccio sul tavolo sfiorando con le dita la mia mano in quello che fu il nostro primo contatto. Poi parlammo, parlammo senza sosta per tutta la cena senza quasi nemmeno sentire il sapore del cibo che mettevamo in bocca, con foga, con la brama di recuperare tutto quello che non ci eravamo detti negli anni in cui ognuno aveva vissuto ignaro dell’altro… o forse non aveva vissuto proprio.

Nei piatti rimase qualche avanzo e nei calici un dito del vino bianco che aveva contribuito così bene a sciogliere il linguaggio. Appena messo piede fuori, il gelo secco dell’inverno ci colpì facendoci dimezzare ulteriormente le distanze. Le chiesi se potevo accompagnarla a casa ma rifiutò gentilmente cercando di non ferirmi; era troppo presto mi dissi io, bisognava assaporare ogni momento senza voler a tutti i costi bruciare le tappe. Di fianco al ristorante c’era una cabina telefonica, le feci segno di attendere e decisi di entrare, infilai il gettone e composi il numero.

“Tango otto, in quattro minuti.” Mi risposero all’altro capo.

Mi restavano solo quattro minuti per congedarmi da lei. Un soffio di vita. Mi sorrise stringendo forte il mazzo di fiori che le avevo regalato; non comprese del taxi finché non se lo vide fermare davanti al marciapiede. Le aprii la portiera e allungai nelle mani dell’autista una banconota pregandolo di portarla ovunque avesse chiesto. Lei scosse la testa dicendo: “non dovevi, non c’era bisogno, non abito lontano”, e fu proprio in quel momento che la zittii appoggiando le mie labbra sulle sue. Chiuse gli occhi come avrebbe fatto uno dei tanti personaggi femminili dei suoi romanzi e le sue dita s’infilarono nei miei capelli mentre la lingua si faceva largo tra i miei denti. La sua espressione quando le nostre bocche si separarono valse interamente il prezzo che avrei dovuto pagare. Aprì la borsetta e prese la penna e un pezzo di carta.

“Sono stata davvero bene con te. Questo è il mio numero, chiamami appena puoi.”     

Era il numero del paradiso, mi dissi, e avrei voluto usarlo all’istante. Trascorsero, invece, tre lunghi giorni nei quali non passai nemmeno più dalla libreria per cercare di prolungare oltremodo quella spasmodica attesa fonte di piacere e supplizio. Poi giunse il momento.

“Giulia, sono Romeo, come stai?”

“Ciao, ma che è successo, credevo non mi chiamassi più, non ti sei nemmeno fatto vedere alla Feltrinelli!”

“Scusami, è che ho avuto problemi col lavoro in questi giorni, purtroppo mi chiudono il contratto con fine anno e dovrò trasferirmi a Venezia per quattro mesi… è un lavoro che avevo già previsto, un contratto già firmato ma doveva avvenire un po’ più avanti.” 

“Ah… Capisco… sì, capisco è la tua professione, tu non puoi farci niente. Senti, vuoi venire in libreria domani sera? È la vigilia, ci sarà parecchio lavoro ma alla chiusura sarò sola perché la responsabile è malata e sono tre giorni che mi occupo io di aprire e chiudere il negozio.”

“Certo, ci sarò. Speravo di poterti rivedere e poi chissà…”

Mi preparai. Preparai quell’incontro con fremente passione sapendo che non ce ne sarebbero stati altri.

Alle 19:20 uscita l’ultima commessa si spensero le luci principali. Mi affacciai sulla soglia e la mia principessa stava riordinando cassa in perfetta solitudine come promesso. Sorrise appena mi vide e mise l’indice davanti alle labbra venendomi incontro, poi andò alla porta, infilò la chiave e diede una doppia mandata, facendo cenno di seguirla.

La porta del bagno era volutamente spalancata. Entrò a darsi una sistemata allo specchio, quindi si girò verso di me e tirò su il vestito mostrandomi con sfacciata arroganza la sua nudità.

“Vieni.”  Disse soltanto.

Stentavo a riconoscerla. I freni inibitori erano completamente crollati, non pareva più nemmeno la stessa persona: il mio angelo innocente si era trasformato in demone tentatore e il suo crisma rovente non avrebbe consacrato santi ma unto martiri disposti a farsi travolgere da una passione feroce.

Entrai in lei. Lo feci con impeto, con rabbia. Ci baciammo lungamente, mordendoci fin quasi a sanguinare e quando le mie mani iniziarono a stringere il suo collo sentii che l’estasi non sarebbe tardata. Allora i suoi occhi si sgranarono, ma non c’era terrore in quello sguardo bensì genuina sorpresa e per ripagarlo degnamente moltiplicai ogni sforzo aumentando il ritmo dei miei colpi. Nell’istante che raggiunsi l’apice del piacere una fitta terribile mi trapassò la schiena e il dolore si diffuse in tutto il corpo. Il respiro si spezzò e immediatamente avvertii in bocca il sapore ferroso del sangue.

La mia piccola mantide. Che perfezione. Quale atto sublime per il finale di un amore bulimico.

Era arrivato il mio turno di mostrarle quanto fossi sorpreso e il suo di rivelarmi quel sottile piacere mentre moriva.

Il collo mi regalò finalmente il rumore che conoscevo lasciando i lineamenti alterati ma ancora pregni di una dolcezza impagabile. I suoi occhi anche nella morte non avevano mai smesso di fissarmi.

Mi appoggiai al lavabo e cercai di sostenere il suo corpo insieme al mio mentre attendevo che anche per me giungesse l’ultimo respiro. 

L’albero di Natale della libreria ripeteva le sue intermittenze colorate. Sembrava di essere a casa, la nostra casa.

Buon Natale, amore mio.

Ci trovarono dopo tre giorni, alla riapertura del negozio. I nostri corpi erano ancora allacciati nell’abbraccio che ci aveva uniti e ben conservati per il freddo intenso sceso nei locali a riscaldamento spento.

I giornali ci ribattezzarono senza alcuna fantasia “gli amanti della Feltrinelli”, inventandosi un mucchio di fesserie che ci avevano spinto a ucciderci senza minimamente avvicinarsi alla verità; nessuno seppe mai quale fosse davvero la nostra storia né si premunirono di indagare sul nostro passato: per Giulia ero stato il terzo, i due fortunati che mi avevano preceduto avevano potuto godere del trattamento completo e i cadaveri non erano mai stati rinvenuti. Io, invece, non per vantarmi ma ero già alla quinta e le avevo amate tutte quante di un amore puro e sincero, con Giulia però… beh, lei era stata proprio speciale e forse l’avevo amata anche più di tutte le altre.

Domani sarà domenica 8 settembre 2019 e la “nostra” libreria chiuderà i battenti dopo 62 anni di onorato servizio… si dice così, no?

Beh, che volete farci, il quartiere cambia, si evolve, la gente passa davanti alle vetrine e si ferma sempre di meno, legge troppo poco… ma si sa, a Milano il tempo è tiranno, non è la città che ti aspetta.

Sono trascorsi 55 anni da quella notte di vigilia, degli “amanti della Feltrinelli” si è ormai persa traccia, eppure non ci siamo mai mossi da lì, anzi, non siamo mai stati così presenti e tanto vicini. Ho sentito dire che al posto della libreria apriranno un negozio di moda, uno dei tanti che hanno invaso la zona… credo, purtroppo, che dovremo fare di necessità virtù dimenticandoci gli amati libri in favore di scarpe e indumenti un po’ più glamour, anche se, lasciatemelo dire, la moda che ha rivoluzionato il mondo è stata quella dei fantastici anni Sessanta, ve lo assicura uno che li ha afferrati per la gola e li ha spremuti fino all’osso.                                                                           

Fine


La leggenda di "Alito di Vento e il Dio Salmone", un racconto ad ampio respiro e molto evocativo che sfrutta la difficile prova a cui si sottopone un giovane guerriero della tribù dei Powhatan alle prese con uno spirito della natura, per ricordare usi e costumi del magnifico "Popolo degli uomini", unico e vero erede degli sterminati territori del Nord America.


                Alito di vento e il Dio Salmone







Racconto attorno al fuoco


“Ci fu un tempo in cui questa terra era nostra. In quel tempo il sole sorgeva ogni giorno sulla grande nazione Algonchina e scaldava la terra portando ciò che ci era necessario: frutti, alberi, animali. Il grande spirito che governa il mondo non era ancora adirato coi suoi figli e appena sopraggiunto l’inverno copriva il suolo con un manto nevoso, rinnovando la promessa di vita che preparava l’arrivo della nuova stagione. La caccia era abbondante, i pesci dentro fiumi e laghi si moltiplicavano per sfamare il “Popolo degli uomini” e i clan prosperavano nonostante le guerre con fratelli di lingua diversa. Le ossa degli antenati defunti proteggevano la loro discendenza perché il cerchio avesse sempre un centro e quando lo spirito chiamava a sé l’uomo rosso, sapevamo che avrebbe cavalcato nelle praterie dei cieli accanto ai suoi parenti. E questo era bene. Con l’arrivo dell’uomo bianco quel tempo propizio è finito e per la tribù dei Powhatan, come per tutto il resto della nazione rossa, la siccità è scesa nei cuori e ha inaridito ogni cosa fino alle lacrime dei nostri occhi. 

Hanno portato malattie sconosciute dai nomi terribili di vaiolo, tifo, influenza, difterite, morbillo, peste. E con esse seminato morte tra vecchi e giovani, indistintamente… Hanno insegnato il vizio che ha minato le generazioni più forti rendendole fragili fino a togliersi la vita, e scatenato guerre senza onore dove prima erano coraggio e rispetto che parlavano al nemico. Ora siamo deboli, i nostri corpi sono fiacchi e le nostre menti sono state domate, il canto che il guerriero leva verso il cielo è solo un flebile lamento senza orgoglio e rimane inascoltato… Viviamo di elemosine, del poco che l’uomo pallido ci ha concesso; le terre che il grande Essere sapiente ci aveva donato e reclamavamo nostre non lo sono più e ciò che prima non aveva nomi né confini adesso si chiama: Timiskaming* … La riserva, così la definiscono coloro che l’hanno creata… Timiskaming, a nord del fiume Ottawa nella nazione chiamata Canada.”

“Perché mi dici tutto questo, nonno? Il mio cuore è gonfio di tristezza, adesso.”


[*] Riserva indiana nella regione Abitibi-Témiscamingue del Quebec, Canada, appena a nord della testa del lago Timiskaming.


“Perché anche per te è venuto il tempo della conoscenza e devi diventare memoria del clan dei Powhatan per coloro che dopo verranno a reclamare il tuo posto.”
Nel freddo del crepuscolo gli occhi del ragazzo si coprirono di una patina lucida che rischiava di tracimare come un fiume in piena. La fronte chinò verso terra vinta da un peso che non poteva sostenere, il suo sguardo temeva il confronto con l’antenato. Intorno, l’algido riverbero violaceo della neve e la soffice corposità mitigarono il suono della sua risposta piccata.
“Non voglio essere testimonianza di una vergogna!”
Il vecchio indiano fece dei segni rivolto verso la notte stellata che stava per sopraggiungere mentre il suo volto si accartocciò indignato.
“Non vi è stata vergogna per il Popolo degli uomini perché il nemico era mille volte le stelle nel cielo! Vi è forse vergogna per il poderoso orso se viene sopraffatto dal branco di lupi affamati?! Fiero, il re delle foreste si erge sulle zampe posteriori e i suoi artigli scavano come lame tra le carni degli avversari, ma è destinato a soccombere perché il sacrificio dei primi lupi che attaccano serve agli altri che, silenti, girano alle sue spalle. Così è stato! L’uomo bianco ha vinto con la forza del numero e dell’inganno… Non vi è alcuna gloria in questo.”
“Dunque è ciò che dovrò raccontare… L’orso si è battuto con tutte le sue forze ma è stato vinto, ed ora quel che di lui resta è fatto schiavo dei lupi. Perché il grande spirito ha permesso che ciò accadesse?”
“Nessuno conosce il suo volere e noi non siamo che polvere al suo cospetto. Il nostro compito in questa vita è rispettarne la volontà supplicando la sua benevolenza.”
Il ragazzo balzò in piedi di scatto e raccolse un sasso, poi lo scagliò con violenza tra le acque nerastre del fiume che gli scorreva innanzi.
“Se questa è la sua volontà io non la rispetterò! Io sono Mano Ferma della tribù dei Powhatan e le mie imprese parlano per me, sono il più forte e il più scaltro tra i giovani e non chiederò indulgenza se Lui ci ha abbandonati!”
Il vecchio indiano si strinse più forte nella ruvida coperta che gli avvolgeva le spalle. 
“Obbedienza, giovane stolto! Sei solo una punta di freccia che non può colpire senza l’arco che la scaglia… Il Circolo degli anziani è l’unico che ha parola su ogni questione e, poiché l’uomo rosso possa sopravvivere, a loro viene delegata ogni decisione. La tua intemperanza mi ricorda la storia di un altro giovane guerriero, fiero e presuntuoso come te, in un tempo passato carico di speranze e di onore.”
Mano Ferma si gettò infervorato ai piedi del nonno e con espressione eccitata lo invitò al racconto.
“Ecco! Questo è ciò che il mio cuore vuole ascoltare! La storia di un guerriero orgoglioso che ha compiuto grandi gesta per la sua gente e sempre verrà ricordato come esempio davanti ai fuochi della sera.”
Le rughe del vecchio si stirarono, abbozzando la parvenza di un sorriso su di un volto che pareva scolpito nella pietra. 
“Così sarà! È una sera buona per ricordare. Gli spiriti del vento dormono, l’imbrunire è freddo ma limpido. Getta altra legna sul fuoco e tienilo vivo finché avrò pronunciato quanto c’è da dire.”
Esaudita alacremente la richiesta, il giovane si coprì anch’egli con la sua coperta e restò immobile ad attendere che le parole del nonno riempissero la notte.
“Alito di Vento era un giovane guerriero Abenaki, fiero e spavaldo, ma il suo orgoglio era ferito perché l’intera tribù era stata costretta a spostare i Wigwam  verso nord del Québec, in seguito alle guerre con gli inglesi e ai frequenti scontri con gli Irochesi. Sachem  Abooksigun  si era rivelato molto più saggio di quanto dicesse il suo nome e aveva portato la sua gente al sicuro in un buon posto, sulle rive di un fiume pescoso nei pressi di una cascata. Il cibo non sarebbe mancato e anche le foreste nei dintorni, ricche di bacche e animali, avrebbero permesso alla tribù di prosperare. Nonostante questo, il cuore di Alito di Vento era triste perché per colpa di popoli nemici era stato costretto ad abbandonare la terra dov’era nato, si sentiva scacciato e disonorato per aver rinunciato a difenderla. I primi periodi cercò di integrarsi nel nuovo territorio seguendo quanto gli veniva ordinato dagli anziani della tribù, ma presto il suo carattere si rivelò sempre più compiutamente facendogli commettere gesti scellerati che ne mettevano in mostra la voglia di eccellere come individuo, anche a scapito del benessere del suo popolo. Così fu che un giorno si allontanò dal gruppo di caccia per cercare gloria personale… 
E la trovò.

La leggenda del Dio Salmone

Un nitrito improvviso. La foresta ammutolì di colpo.
“Ahe! Cavalli! Non siamo soli!”
I due ragazzi si acquattarono nel verde del sottobosco e attesero silenziosi finché alcuni cavalieri avanzarono a passo lento tra gli alberi, sfilando fino a sparire tra le intricate fronde. 
“Guerrieri Huron. Si sono spinti lontani dai loro territori di caccia. Che Volpe Astuta dimostri come si è guadagnato il suo nome e mi segua.”
“Che vuoi fare?”
“Non hanno colori di guerra, sono cacciatori, tra poco lasceranno i cavalli e noi glieli porteremo via.”
“Ahe! Un demone della follia deve averti preso! Sono in cinque e noi solo due, e non lasceranno le cavalcature incustodite. Dovremo prima riunirci agli altri e chiedere al capo guerra se è saggio compiere questa impresa.”
“Allora tu va e rientra con gli altri, Alito di vento metterà alla prova il suo braccio e il suo valore portando al villaggio il trofeo che merita.”
Senza discutere oltre, il giovane guerriero si voltò sgattaiolando agile tra la macchia boschiva e seguì silenziosamente la pista lasciata dagli Huron.
Ore dopo, il villaggio di Abooksigun era in grande fermento perché, al rientro dei cacciatori, Volpe Astuta aveva raccontato a tutti quanto accaduto mentre stava insieme al compagno. Alcuni esaltati avevano impugnato le armi per raggiungere Alito di vento nella sua impresa, altri erano arrabbiati con lui perché il suo gesto avrebbe portato sventure sul villaggio; vecchi e donne, invece, avevano già iniziato a intonare i canti di morte pensando che il giovane scellerato fosse perito nel tentativo di compierla. 
Fu in quel momento che si avvertirono da lontano grida eccitate e, in pochi istanti, Alito di Vento irruppe tra le tende montando uno dei cavalli pezzati con i colori degli Huron e tenendone un altro al seguito.
“Aheeeeee!!! Ecco, ascoltate: tutti possono vedere che il prode guerriero Abenaki ha messo a segno due colpi per la tribù!!”
Smontato, la sua gente gli si strinse intorno ma molti, invece di gioire, criticarono il gesto che aveva compiuto.
Il vecchio sachem non disse una parola, lo guardò negli occhi e lo invitò a seguirlo nel suo Wigwam.
“Non siamo venuti in queste terre per trovare nuovi nemici. Il popolo degli Huron è stato per molte volte nostro alleato contro gli Irochesi. È gente fiera e noi siamo qui da poco, non possiamo presentarci con uno sgarbo che potrebbe provocare la rottura di un equilibrio nel segno della pace. Ora dovrai riportare al loro villaggio quanto hai preso e in segno di amicizia donerai queste due pelli che sono le migliori che possiedo.”
Il giovane non credeva alle sue orecchie. Invece dei festeggiamenti che si aspettava era stato accolto da rimproveri e trattato senza dignità, come un bambino che aveva rubato. 
“Queste parole non sono degne di un Sachem Abenaki! La nostra gente ora è più ricca grazie all’abilità che ho dimostrato!”
Abooksigun non si alterò per quanto aveva sentito, sedette e prese una lunga pipa che riempì di tabacco da una sacca. L’accese e tirò un paio di lente boccate senza più degnare il giovane di uno sguardo.
“Non è alla tribù che hai pensato compiendo questa impresa, ma a te stesso. Andrai a restituire i cavalli e sarai da solo ad affrontare il tuo destino. Se vorrai, in seguito potrai fare ritorno al villaggio tra la tua gente e guardare dentro di te per aver cercato gloria solo per orgoglio. Così ho parlato.”
Nonostante fosse amareggiato così fece, anche perché in cuor suo doveva dimostrare a tutti che non aveva paura di compiere quanto gli era stato comandato, seppur ciò avrebbe potuto costargli la morte.
Qualche spirito benigno dall’alto, però, doveva gradire il coraggio messo in mostra dal ragazzo perché gli Huron furono pazienti con lui accettando la restituzione dei cavalli e i doni portati con essi, così che Alito di Vento potesse far rientro incolume tra la sua gente.
L’episodio, naturalmente, non venne dimenticato e per qualche tempo il giovane fu tenuto in disparte sia nelle cerimonie che nella caccia venendo sorvegliato dai capi dei giovani in ogni suo operato all’interno del campo… ma il suo carattere non era stato domato per così poco. 
Trascorsero alcune lune e tra la gente Abenaki si stava diffondendo una nuova credenza.
I pescatori avevano trovato un valido avversario tra le acque di cristallo del San Lorenzo: un salmone dalle dimensioni mai viste li aveva sfidati più volte a catturarlo, beffandoli in ogni circostanza. Qualcuno si era convinto che il grosso pesce gli avesse parlato deridendolo, altri dicevano che in realtà si trattava di uno spirito del fiume venuto per avvisare il Popolo degli uomini di qualche sventura, ma finché non fosse stato catturato nessuno avrebbe mai scoperto la sua natura.
 In effetti il comportamento del pesce era strano, non era mai risalito verso la grande acqua salata né aveva compiuto il percorso inverso come fanno i salmoni  tra l’inizio del sole che scotta e la stagione delle foglie cadenti; il luogo che si era scelto sembrava da sempre essere la sua casa e nelle giornate limpide si potevano osservarne i balzi prodigiosi fra le rocce del fiume. Una sfida. Era diventato questo per i pescatori Abenaki. E il giovane Alito di Vento, come suo uso, era destinato a raccoglierla.
L’occasione che tanto attendeva giunse durante il rito delle nozze sacre . All'inizio di quella stagione di pesca le due bambine vergini destinate a sposare le reti erano Natane e Abequa. Durante la cerimonia, le giovani vennero accompagnate sulle due canoe e portate verso il centro del fiume ma, prima che potessero rivestirsi delle reti bagnate, il grande salmone saltò fuori dalle acque balzando al di sopra della piroga di Natane e nel guizzare la colpì, facendole perdere l’equilibrio, così che cadendo finì per battere con violenza la testa sul bordo della canoa. Le lance dei pescatori al seguito soffiarono contro il cielo saettando a vuoto per cercare di prenderlo, ma appena si resero conto della gravità della ferita che si era aperta sulla fronte della piccola Natane, presto rientrarono al villaggio per affidarla alle cure dello sciamano. 
“Il Dio Salmone ha preso la vita di Natane!” Gridavano tutti, allarmati. 
Il padre della giovane, impazzito per il dolore, preso arco e frecce si spinse fino al punto del fiume in cui il grosso pesce era stato avvistato e si mise a scagliare frecce nella corrente, sfidandolo a mostrarsi. Ma ciò non avvenne. Nei giorni seguenti altri cercarono nuovamente di catturarlo uscendo più volte con le loro imbarcazioni a risalire l’intero tratto fluviale dove, sin dal primo momento che si erano stabiliti in quei posti, la sua presenza si era rivelata… Eppure, nessuno lo vide più. 
In tutto questo, la giovane sposa delle reti, Natane, non si era mai ripresa dalla sua ferita e giaceva in uno stato di torpore mortale senza che la sua anima potesse far ritorno a risvegliarne il corpo. Lo sciamano della tribù aveva predetto che solo il Dio Salmone avrebbe potuto riportarla indietro dalla terra degli spiriti, perché dentro di lui si trovava imprigionato il soffio vitale della bambina, ma per farlo, per chiedere la restituzione di Natane alla sua gente, andava catturato vivo. 

La visione

Con sguardo fiero il giovane guerriero si rivolse allo sciamano mostrando le sue forti braccia: “Voglio che il mio corpo venga purificato, perché rivendico che sarà Alito di vento a portare al villaggio il Dio Salmone.” 
“Credi dunque di essere il più valoroso fra tutti i membri della tribù Abenaki?!”
“Tu l’hai detto e io lo dimostrerò agli occhi della mia gente e del grande spirito!”
“Che sia preparata la capanna del sudore! Monda la tua carne corrotta, innalza l’anima così che rigenerandoti possa farti avere la visione che cerchi rivelando il luogo dove si cela il Dio Salmone e il modo con il quale potrai avere la meglio su di lui.”
Come tradizione, la grande capanna venne chiusa con scorze di betulla e pelli d’alce e caribù, le pietre bollenti vennero poste in una buca al suo interno e l’acqua versata su di esse finché i vapori scaldarono l’aria, saturandola. Il corpo di Alito di vento iniziò a perdere liquido, mentre il suo spirito si librava in cerca dell’avversario.
Furono necessarie molte ore senza mangiare né bere, poi, quando entrò in connessione con tutti gli elementi della madre terra, lo vide.
Uscito dalla capanna fece pochi passi davanti al fuoco che lo sciamano aveva tenuto vivo senza mai smettere di intonare il suo canto di supplica per lui. Vinto dalla debolezza si lasciò cadere, ma la sua voce tuonò sicura.
“Ahe!! Ho visto la creatura e il suo nascondiglio!”
“Va a prenderlo, allora, poiché lo spirito di Natane ogni giorno che passa abbandona il suo corpo e presto se ne sarà andato per sempre.”
Il giovane si preparò e mise in acqua la canoa migliore che la sua gente aveva costruito. Prima di staccarsi dalla riva, sachem Abooksigun entrò con lui nel fiume per spingerla e consegnarli un wampum , con il quale potesse ricordare l’impegno che aveva preso.
“Va! Questa volta hai il consenso di tutta la tua gente, fa ciò che devi con onore!”
Da poco il sole si era levato scacciando la notte; aveva di fronte a sé molte ore di luce ma sapeva che il luogo dov’era diretto distava oltre un giorno intero di viaggio, per cui prese con forza a pagaiare senza sosta e la sua imbarcazione gli rispose obbediente solcando agile la corrente del fiume. Ad un certo punto, quando il disco del sole era prossimo a terminare il suo cammino, preoccupato dell'oscurità calante e temendo di perdere la canoa contro una roccia, il ragazzo guadagnò la riva e accese un fuoco per trascorrere le ore più buie nella foresta e poi riprendere la caccia il mattino seguente. Seduto accanto al piccolo falò si addormentò sfinito, ma il suo sonno venne presto interrotto da rumori di frasche che avanzavano nella sua direzione. Un animale, pensò afferrando un tizzone ardente per tentare di scacciarlo. Si sbagliava. Uomini. La foresta si aprì e apparvero due coureur des bois che portavano al seguito un guerriero Maliseet ridotto in prigionia.
“L’odore del fuoco ti ha tradito piccolo selvaggio. Legalo bene, Pierre, lo tengo sotto tiro.” 
La lunga carabina puntata al petto, Alito di vento per un attimo si vide perduto. Gli uomini pallidi dalle folte barbe erano alla ricerca di schiavi da vendere in qualche Trading Post  e lui si era lasciato sorprendere come il più debole dei bambini. Quando l’uomo gli arrivò di lato per legarlo, il pensiero di Natane e dell’impegno che aveva preso con la sua gente lo spinse a reagire facendogli mettere in pericolo la sua stessa vita. Sfilò il coltello e con uno scatto si portò alle spalle del cacciatore afferrandolo per la gola, schermandosi quindi con il suo corpo. Il colpo a lui destinato, che udì risuonare tra gli alberi, raggiunse invece l’uomo bianco che gli scivolò dalla presa agonizzando ai suoi piedi.
“Sudicio indiano! Sei morto!”

Ed ecco l'atteso finale del racconto


L’altro uomo gettò per terra il fucile e afferrò dalla cinta la pistola ma, mentre la puntava, Alito di Vento aveva già scagliato con tutta la forza il suo coltello. Anche il secondo sparo si perse nella quiete della foresta e anche il secondo colpo non lo raggiunse. I due coureur des bois giacevano entrambi distesi nell’erba urlando il loro dolore ed ogni maledizione per aver avuto la peggio contro quella che pensavano fosse una preda indifesa, ma il loro, oramai, era solo un canto di morte. 
Il giovane Abenaki, incredulo di essere ancora vivo, si affrettò a sciogliere dai legacci il guerriero Maliseet.
“Va! Corri dalla tua gente, sei libero!”
Poi spinse la canoa nel fiume e prese a pagaiare con forza allontanandosi da quel luogo di angoscia, accompagnato dalle urla di uno dei due uomini che non si erano ancora spente. Solo dopo aver portato l’imbarcazione distante, nei pressi di una radura, si rese conto che per la prima volta nella sua vita era stato costretto a uccidere e, seppure lo aveva fatto per difendere la sua vita, non sentiva affatto il bisogno di celebrarlo come sempre gli era accaduto nel vantarsi delle imprese passate. Toccò il suo viso e si accorse che scendevano lacrime senza che lui le avesse richiamate. Se ne vergognò, non comprendendo a cosa fossero dovute, poi venne preso dagli spiriti del sonno che gli concessero qualche ora di riposo.
Alle prime luci, mentre trascinava dalla secca la canoa per riprendere il viaggio, udì alle sue spalle un rumore conosciuto. Lo aveva trovato. Rischiarato dai freddi colori del mattino vide i guizzi argentati del grande salmone che salivano alti dall'acqua fino a librarsi nell'aria. Le evoluzioni compiute mettendosi in mostra erano un ulteriore sfida per il giovane, il grande pesce sembrava irriderlo dicendogli: “Prova a catturarmi, se ne sei capace.” Alito di Vento non si fece pregare ed entrò nelle acque gelide del fiume con una lancia corta sferrando colpi dove la creatura ricadeva sollevando colonne di schizzi. Il fondale era basso, per cui non ebbe alcuna difficoltà a inseguirlo tra le rocce che sorgevano nel letto del fiume. Infine, riuscì a chiudergli la via in una zona di secca. 
“Ora sei in mio potere.” Disse ad alta voce, pregustando gli onori che certo la sua gente gli avrebbe attribuito per aver catturato la leggenda del fiume. 
Quando fu così vicino da non poter sbagliare più il colpo, il gigantesco salmone con un grosso balzo si gettò tra le braccia del ragazzo che perse in acqua la lancia e venne a ritrovarsi faccia a faccia con il poderoso pesce. 
I suoi occhi lo guardavano intensi come quelli di un uomo e il corpo, seppur viscido e squamoso, emanava uno strano tepore. Sorpreso dall’accaduto rimase immobile per qualche istante sotto lo sforzo di reggere l'imponente creatura e poi, ancora più sbigottito, la udì parlare: 
“Stanotte hai compreso cosa vuol dire togliere la vita e in quelle lacrime sei diventato uomo. Perché ora vuoi uccidere lo spirito dei tuoi antenati? Lascia che vaghi libero nelle acque della madre terra e ritorna dalla tua gente con orgoglio per averlo fatto. Natane vivrà.” 
Il ragazzo, incredulo per quanto udito, ubbidì e ripose il salmone nel fiume vedendolo sparire. Improvvisamente aprì gli occhi e si rese conto che ancora stava dormendo. Turbato per lo strano sogno che aveva fatto fece ritornò dalla sua tribù, abbandonando la caccia come il pesce gli aveva detto nella visione. Arrivato nei pressi del villaggio, sul ciglio del fiume trovò Abooksigun e gli chiese subito notizie della piccola Natane.
“Da questa notte il suo spirito è tornato improvvisamente nel corpo e ora riposa in attesa di riprendere la vita.”
Il giovane guerriero gioì della notizia e raccontò al sachem tutto quanto gli era accaduto, compreso il sogno rivelatore che lo aveva riportato al villaggio. Il vecchio saggio per una volta sorrise: “Anche a me è stato annunciato in sogno che le anime dei nostri avi si incarnano nel Dio Salmone da quando esiste il mondo. Il tuo braccio è stato forte quando c’era da colpire così come la tua mente, giusta, quando hai dovuto scegliere. Ciò che hai fatto è bene! Alito di vento sarà un buon sachem per gli Abenaki.” 

Epilogo

La lunga narrazione era giunta al termine. Il vecchio chiuse gli occhi e non disse altro. Mano Ferma si spogliò della coperta e ancora una volta, preso dal suo carattere focoso, si rizzò in piedi.
“Ahee! Tu vuoi farti beffa di me, nonno! Alito di Vento è certo un grande guerriero e il suo braccio ha messo a segno due colpi contro l’uomo pallido, ma la storia del grande pesce è solo un sogno al quale possono credere i bambini!”
Mentre pronunciava queste parole, il rombo di un tuono spezzò la quiete nonostante il cielo notturno fosse terso. Lo sguardo del ragazzo venne subito richiamato in direzione dello strano fenomeno e, quando si voltò, del nonno era rimasta soltanto la coperta. Preoccupato, si mosse lungo la riva con la paura che fosse caduto nel fiume, poi, scrutando con attenzione, vide comparire la livrea di uno strano pesce che curiosamente sembrava osservarlo. L’istante successivo, tra le acque trasparenti del fiume Ottawa, il Dio Salmone riprese a guizzare felice.

***



2 commenti:

  1. Attendo il seguito di questo racconto spero verrà postato tutto, finale compreso, vero?

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  2. Ciao, ti posso confermare che il racconto verrà postato tutto, ancora due puntate e potrai scoprire il finale della leggenda di Alito di Vento.

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