Serial...stories
Nuova pagina dedicata a tutti coloro che, oltre ad apprezzare il mio stile di scrittura, amano generi e ambientazioni dai quali prendono vita i miei personaggi. Ogni mese sceglierò un racconto da proporvi che verrà sezionato e proposto a puntate, corredato poi dal contributo di foto e/o video che ne accompagnano la promozione.
Serial Killer-s
Vincitore del Primo premio Feltrinelli-SEM giallo in libreria 2022
Milano, 1957
Vi è mai capitato di andare in paranoia per una fissa mentale?
La mia fissa non aveva un nome, ma le sue fattezze erano talmente impresse nel mio cervello da aver creato la matrice perfetta e ogni qualvolta mi avvicinavo all’ideale di quelle forme, un turbamento inestinguibile finiva per rapirmi.
In quell’occasione capitò per puro caso, entrò nella mia vita come un dolce tormento e non faticai un istante a riconoscerla: viso d’angelo, occhi cerulei e una chioma rossa che esaltava il suo pallore lunare rendendola quasi eterea, una ninfa dei boschi appartenente a leggende lontane… solo che le rocce erano scaffali ordinati e gli alberi, torri di libri bene impilati pronti per diffondere la loro conoscenza.
La ospitavano due strette vetrine, un piccolo antro del sapere nel cuore di una Milano che dal dopoguerra non si era stancata mai di crescere e di evolvere, e quella piccola libreria a due passi dal Teatro alla Scala rappresentava la pietra angolare di un quartiere avido di vita, ingordo di progresso. Ci passavo davanti ogni sera al ritorno dal lavoro, una piccola deviazione fino al dodici di via Manzoni per poter viaggiare, almeno con lo sguardo, fra decine di copertine colorate e titoli intriganti, pronto a carpire, senza dare nell’occhio, le news dai quotidiani internazionali che venivano esposti sulla rastrelliera appesa all’esterno.
Un giorno finalmente mi decisi al grande passo. Sfilato il borsalino con rispetto, come si fa quando si varca il portale di una chiesa, oltrepassai quella soglia iniziando a girovagare fra vecchi amici coi quali già da tempo c’eravamo presentati: Proust, Kafka, Tolstoj, Melville, Wilde, Goethe, la Shelley… Era stato bello ritrovarli anche se non li avevo mai lasciati veramente, ma stavolta non era per cercare la loro compagnia che ero entrato. Dovetti attendere con trepidazione affinché il suo sguardo mi scegliesse fra i pochi astanti e, seppur fra di noi non vi fu alcun contatto, compresi in quel momento che il futuro sarebbe stato nostro.
La settimana successiva, puntuale come un amante impaziente, non trascorse sera senza ch’io mi consegnassi a quel salotto letterario respirando l’odore di carta nuova, sfogliando testi per saziarmi di brevi stralci, ma soprattutto analizzando con discrezione la misteriosa creatura che con grazia inaspettata si muoveva tra gli scaffali riordinando i libri.
Il suo cavallo di battaglia era un abitino di lana corto, color inchiostro, ingentilito da un colletto bianco bon ton e spezzato in vita con una cintura panna dalla grossa fibbia tonda. Il tocco finale erano delicate scarpette di vernice senza tacco che conferivano quella nota acerba di un germoglio ancora da cogliere. La mia piccola Audrey Hepburn pareva appena uscita da “Colazione da Tiffany” mentre calcava il suo palcoscenico con raffinata e malinconica bellezza.
Sapevo di averla colpita. La mia costante presenza serale in libreria l’aveva quanto meno incuriosita e, anche se non si era mai sbilanciata andando oltre al formale rapporto dovuto al suo lavoro, io cercavo ben altro dei sorrisi di circostanza o dell’asettico scambio di saluti nell’istante in cui entravo e uscivo dal negozio.
A volte mi capitava di osservarla per lunghi tratti mentre colmava di premurose attenzioni altri avventori, ed io non potevo fare a meno di invidiarli perché parevano immuni all’incanto che forse nemmeno lei stessa era inconsapevole di sprigionare. E quando notavo espressioni infastidite verso la mia gentile commessa che tentava di proporre un libro con l’ardore tipico di chi lo ha amato, mi struggevo supplicando che venisse da me, io e soltanto io sarei stato capace di ascoltarla per ore ripagandola di tanta dedizione.
Ma era chiaro che lei non avrebbe mai superato la barriera che ci divideva e sarebbe toccato a me prendere l’iniziativa: entrare nel suo mondo per portarla nel mio. Misi in atto un disegno alquanto semplice, l’unico approccio che senza voli pindarici ritenevo possibile ero quello di comportarmi da cliente appassionato e conquistarmi con discrezione la sua fiducia così da dimezzare la distanza fino ad annullarla… perché io non ero un cliente come un altro. Non volevo esserlo.
Prima di propormi pensai parecchio verso quale testo mi sarei dovuto indirizzare per far colpo su di lei: il grande classico riportava a un uomo colto e raffinato e aveva una certa prevalenza sugli altri generi, tuttavia, anche uno scritto inedito, segno di apertura, oppure una raccolta di poesie, sintomo di animo garbato, mi lasciarono dubbioso sino all’ultimo. Alla fine osai cogliere il frutto proibito di una storia d’amore, perché così l’avrei costretta ad accarezzare l’argomento del quale la consideravo dea e avrei potuto soppesare direttamente dalle sue labbra quanta passione albergasse in lei, seppur limitata alla mera narrazione di un racconto.
Era un giorno di fine novembre, di quelli dove la nebbia s’inghiotte anche il grigiore del cemento e le insegne luminose delle vetrine sono fuochi fatui che danzano nell’etere. Il freddo serale iniziava a mordere le dita e il caotico sferragliare dei tram fungeva da rumorosa colonna sonora di fine giornata, ma tra la bruma autunnale mi apparve come sempre l’isola felice, consapevole che stavolta non mi sarei accontentato di vite confezionate su carta… avrei avuto tutto o niente.
Indossavo una sciarpa rossa bene avvolta sopra il cappotto grigio perché anche il colore del desiderio contribuisse a sciogliere la patina di indifferenza che non ci aveva ancora fatti aprire l’uno verso l’altro.
“Mi scusi, signorina, oggi vorrei fare un regalo ma non so bene come orientarmi, sarebbe così gentile da darmi qualche suggerimento?”
“Ma certo, farò il possibile per aiutarla, se ha pensato di regalare un libro qualcosa che piace si trova sempre. Posso chiederle a chi è destinato e se conosce i suoi gusti in fatto di lettura? ”
Parlava con quel tono tiepido e rassicurante che avevo udito molte volte rivolgersi ad altri clienti, ma questa volta era a mio uso esclusivo.
“No, purtroppo non conosco quale sia il suo genere preferito e per la verità la frequento anche da poco; si tratta di una giovane donna, una persona fine, di belle maniere e dall’aria romantica e sognante; avevo pensato a un libro sentimentale, ma non ho molta dimestichezza con quel tipo di racconti e non saprei davvero quale scegliere.”
Non so come diavolo mi fossero uscite quelle parole perché non avevo fatto altro che parlarle di lei ed ero andato già ben al di là di quanto mi fossi riproposto.
“Se ha inquadrato così bene la persona è quasi sicuro che con un romanzo d’amore la farà contenta. Abbiamo una scelta molto vasta, le proporrei almeno quattro o cinque libri che potrebbero riscuotere l’approvazione della sua amica; venga, le faccio vedere, il settore dove li teniamo è quello laggiù.”
Trascorsero minuti di estatico ascolto nell’udire i suoi consigli incentrati sul filone amore e dramma, poi, grazie ad un quesito, arrivò la svolta.
“Ma se invece dovesse comprarne uno che assolutamente vorrebbe leggere lei, quale sceglierebbe?”
Spiazzata dalla mia domanda restò titubante per un solo attimo, quindi si pronunciò con enfasi.
“Il Sogno della Camera Rossa, penso, è di un autore cinese poco conosciuto al grande pubblico qui in Italia, ne è uscita da pochi mesi una versione ridotta. Ma non è un libro per tutti, sono due volumi e oltre mille pagine, non mi sentirei di consigliarlo senza prima conoscere la persona che dovrebbe leggerlo.”
“Prenderò questo.”
“Ma non vuol sapere prima di cosa parla?”
“Ho totale fiducia del suo buongusto letterario.”
La mia ferma risolutezza l’aveva sorpresa, forse le aveva aperto gli occhi. Per qualche attimo, andando a prelevare il libro per portarlo alla cassa, non proferì parola e il suo sguardo si tenne ben distante dal cercare i miei occhi. Notai un lieve tremore delle mani mentre infilavano i due pesanti tomi nel sacchetto e questo mi spinse ad andare fino in fondo giocandomi il tutto per tutto.
“Non lo porto via… è per lei, vorrei lo considerasse un dono alla sua gentilezza. Ma se non l’accetterà le prometto che non mi offenderò, sparirò da quella porta e non mi vedrà più qui in negozio a importunarla.”
Ah, la sua timidezza… quel pallore lunare che subito prese vita tinteggiando in un rosa più acceso le guance di porcellana, il lieve fremito di labbra che cercavano di negarsi senza riuscirci e quel volto angelico che tentava di celarsi pudico fra le ciocche ramate.
Che emozione fu per me, che momento di impagabile euforia.
“Io… non posso… mi creda… davvero… le sono grata ma…”
Tra tanto balbettare, con un briciolo di cortese insistenza, finì per accettare.
“Mi chiamo Romeo Farri, lavoro come commercialista in uno studio poco oltre via Manzoni.”
“Il mio nome è Giulia Sarfatti, piacere, sono tre anni che faccio la commessa per la Feltrinelli.”
E così ci eravamo anche presentati, un po’ formali certo, restando ognuno sulle “sue”, ma come non notare che era stato il destino stesso a volerci unire facendosi scherno dei nostri nomi, avvicinando un Romeo alla sua Giulietta nella più tragica evocazione dell’amore di tutti i tempi.
E rispettando la tradizione, in tragedia sarebbe finita.
Inizialmente la nostra frequentazione non varcò mai la soglia della libreria: ogni sera passavo puntuale dal negozio intorno alle 18:30 anche solo per farle un saluto dalla vetrina, mentre spesso restavo fin quasi all’orario di chiusura gironzolando tra testi di narrativa, codici e manuali, senza per altro infastidire l’avvenente Giulia se non per discutere la trama di un libro, tanto che le altre due commesse non si erano nemmeno accorte che la mia costante presenza avesse ormai un'unica fonte di richiamo.
Cinque giorni a Natale e feci il passo decisivo: la invitai a cena in un intimo ristorantino a due passi dalle Colonne di San Lorenzo.
Si presentò all’appuntamento con un cappottino di pelliccia che doveva aver tenuto da parte per un’occasione speciale, e la nostra indubbiamente lo era, io con un mazzo di roselline e lo sguardo perso di un innamorato. Il resto lo fecero un tavolino in un angolino appartato, il riverbero caldo della candela e il vociare lontano della gente ovattato dai fiocchi di neve che si attaccavano alle vetrine: come non definirla la serata perfetta?
“Allora Romeo, forse è arrivato il momento di conoscerci meglio, ho accettato volentieri l’invito ma a parte i tuoi gusti letterari non so nient’altro di te.”
“Non c’è molto da dire. Vivo solo, ho pochissimi amici e faccio il revisore di conti per alcune ditte lavorando a contratto presso commercialisti; questo mi costringe a spostarmi in giro per l’Italia di continuo, un’occupazione di una certa importanza e alquanto grigia. Ma ora basta parlare del mio lavoro, è fatto solo di numeri e non farebbe altro che annoiarti. Tu sei parte dei libri che vendi, c’è il sole nei tuoi occhi quando racconti le storie che leggi… è di te che voglio parlare.”
“Sei romantico… lo trovo strano in un uomo che si dedica ai numeri… comunque anch’io vivo sola, i miei stanno in un paesino semisconosciuto dell’Umbria, sono venuta a frequentare l’università qui a Milano, poi ho trovato lavoro e mi sono fermata.”
“Posso chiederti se hai qualcuno a cui tieni… sì, insomma, hai capito, no?”
“C’è stato. In passato sono stata fidanzata per qualche tempo poi qualcosa non ha funzionato. Se non fossi stata libera, stasera non sarei uscita con te.”
“Oh lo so, si vede che sei una ragazza a posto… seria, intendo dire, e non era mia intenzione metterlo in dubbio con la domanda ma vedi, io… so che sembra quasi ridicolo parlare per frasi fatte, però da quando ti ho visto attraverso quella vetrina non ho fatto altro che pensare a te… a noi due… a come sarebbe stato.”
Ancora la testa bassa e quell’adorabile rossore mentre imbarazzata cercava di sistemare il cerchietto tra i capelli, quindi, con uno sforzo che le si leggeva immenso, mise da parte la timidezza e allungò il braccio sul tavolo sfiorando con le dita la mia mano in quello che fu il nostro primo contatto. Poi parlammo, parlammo senza sosta per tutta la cena senza quasi nemmeno sentire il sapore del cibo che mettevamo in bocca, con foga, con la brama di recuperare tutto quello che non ci eravamo detti negli anni in cui ognuno aveva vissuto ignaro dell’altro… o forse non aveva vissuto proprio.
Nei piatti rimase qualche avanzo e nei calici un dito del vino bianco che aveva contribuito così bene a sciogliere il linguaggio. Appena messo piede fuori, il gelo secco dell’inverno ci colpì facendoci dimezzare ulteriormente le distanze. Le chiesi se potevo accompagnarla a casa ma rifiutò gentilmente cercando di non ferirmi; era troppo presto mi dissi io, bisognava assaporare ogni momento senza voler a tutti i costi bruciare le tappe. Di fianco al ristorante c’era una cabina telefonica, le feci segno di attendere e decisi di entrare, infilai il gettone e composi il numero.
“Tango otto, in quattro minuti.” Mi risposero all’altro capo.
Mi restavano solo quattro minuti per congedarmi da lei. Un soffio di vita. Mi sorrise stringendo forte il mazzo di fiori che le avevo regalato; non comprese del taxi finché non se lo vide fermare davanti al marciapiede. Le aprii la portiera e allungai nelle mani dell’autista una banconota pregandolo di portarla ovunque avesse chiesto. Lei scosse la testa dicendo: “non dovevi, non c’era bisogno, non abito lontano”, e fu proprio in quel momento che la zittii appoggiando le mie labbra sulle sue. Chiuse gli occhi come avrebbe fatto uno dei tanti personaggi femminili dei suoi romanzi e le sue dita s’infilarono nei miei capelli mentre la lingua si faceva largo tra i miei denti. La sua espressione quando le nostre bocche si separarono valse interamente il prezzo che avrei dovuto pagare. Aprì la borsetta e prese la penna e un pezzo di carta.
“Sono stata davvero bene con te. Questo è il mio numero, chiamami appena puoi.”
Era il numero del paradiso, mi dissi, e avrei voluto usarlo all’istante. Trascorsero, invece, tre lunghi giorni nei quali non passai nemmeno più dalla libreria per cercare di prolungare oltremodo quella spasmodica attesa fonte di piacere e supplizio. Poi giunse il momento.
“Giulia, sono Romeo, come stai?”
“Ciao, ma che è successo, credevo non mi chiamassi più, non ti sei nemmeno fatto vedere alla Feltrinelli!”
“Scusami, è che ho avuto problemi col lavoro in questi giorni, purtroppo mi chiudono il contratto con fine anno e dovrò trasferirmi a Venezia per quattro mesi… è un lavoro che avevo già previsto, un contratto già firmato ma doveva avvenire un po’ più avanti.”
“Ah… Capisco… sì, capisco è la tua professione, tu non puoi farci niente. Senti, vuoi venire in libreria domani sera? È la vigilia, ci sarà parecchio lavoro ma alla chiusura sarò sola perché la responsabile è malata e sono tre giorni che mi occupo io di aprire e chiudere il negozio.”
“Certo, ci sarò. Speravo di poterti rivedere e poi chissà…”
Mi preparai. Preparai quell’incontro con fremente passione sapendo che non ce ne sarebbero stati altri.
Alle 19:20 uscita l’ultima commessa si spensero le luci principali. Mi affacciai sulla soglia e la mia principessa stava riordinando cassa in perfetta solitudine come promesso. Sorrise appena mi vide e mise l’indice davanti alle labbra venendomi incontro, poi andò alla porta, infilò la chiave e diede una doppia mandata, facendo cenno di seguirla.
La porta del bagno era volutamente spalancata. Entrò a darsi una sistemata allo specchio, quindi si girò verso di me e tirò su il vestito mostrandomi con sfacciata arroganza la sua nudità.
“Vieni.” Disse soltanto.
Stentavo a riconoscerla. I freni inibitori erano completamente crollati, non pareva più nemmeno la stessa persona: il mio angelo innocente si era trasformato in demone tentatore e il suo crisma rovente non avrebbe consacrato santi ma unto martiri disposti a farsi travolgere da una passione feroce.
Entrai in lei. Lo feci con impeto, con rabbia. Ci baciammo lungamente, mordendoci fin quasi a sanguinare e quando le mie mani iniziarono a stringere il suo collo sentii che l’estasi non sarebbe tardata. Allora i suoi occhi si sgranarono, ma non c’era terrore in quello sguardo bensì genuina sorpresa e per ripagarlo degnamente moltiplicai ogni sforzo aumentando il ritmo dei miei colpi. Nell’istante che raggiunsi l’apice del piacere una fitta terribile mi trapassò la schiena e il dolore si diffuse in tutto il corpo. Il respiro si spezzò e immediatamente avvertii in bocca il sapore ferroso del sangue.
La mia piccola mantide. Che perfezione. Quale atto sublime per il finale di un amore bulimico.
Era arrivato il mio turno di mostrarle quanto fossi sorpreso e il suo di rivelarmi quel sottile piacere mentre moriva.
Il collo mi regalò finalmente il rumore che conoscevo lasciando i lineamenti alterati ma ancora pregni di una dolcezza impagabile. I suoi occhi anche nella morte non avevano mai smesso di fissarmi.
Mi appoggiai al lavabo e cercai di sostenere il suo corpo insieme al mio mentre attendevo che anche per me giungesse l’ultimo respiro.
L’albero di Natale della libreria ripeteva le sue intermittenze colorate. Sembrava di essere a casa, la nostra casa.
Buon Natale, amore mio.
Ci trovarono dopo tre giorni, alla riapertura del negozio. I nostri corpi erano ancora allacciati nell’abbraccio che ci aveva uniti e ben conservati per il freddo intenso sceso nei locali a riscaldamento spento.
I giornali ci ribattezzarono senza alcuna fantasia “gli amanti della Feltrinelli”, inventandosi un mucchio di fesserie che ci avevano spinto a ucciderci senza minimamente avvicinarsi alla verità; nessuno seppe mai quale fosse davvero la nostra storia né si premunirono di indagare sul nostro passato: per Giulia ero stato il terzo, i due fortunati che mi avevano preceduto avevano potuto godere del trattamento completo e i cadaveri non erano mai stati rinvenuti. Io, invece, non per vantarmi ma ero già alla quinta e le avevo amate tutte quante di un amore puro e sincero, con Giulia però… beh, lei era stata proprio speciale e forse l’avevo amata anche più di tutte le altre.
Domani sarà domenica 8 settembre 2019 e la “nostra” libreria chiuderà i battenti dopo 62 anni di onorato servizio… si dice così, no?
Beh, che volete farci, il quartiere cambia, si evolve, la gente passa davanti alle vetrine e si ferma sempre di meno, legge troppo poco… ma si sa, a Milano il tempo è tiranno, non è la città che ti aspetta.
Sono trascorsi 55 anni da quella notte di vigilia, degli “amanti della Feltrinelli” si è ormai persa traccia, eppure non ci siamo mai mossi da lì, anzi, non siamo mai stati così presenti e tanto vicini. Ho sentito dire che al posto della libreria apriranno un negozio di moda, uno dei tanti che hanno invaso la zona… credo, purtroppo, che dovremo fare di necessità virtù dimenticandoci gli amati libri in favore di scarpe e indumenti un po’ più glamour, anche se, lasciatemelo dire, la moda che ha rivoluzionato il mondo è stata quella dei fantastici anni Sessanta, ve lo assicura uno che li ha afferrati per la gola e li ha spremuti fino all’osso.
Fine
La leggenda di "Alito di Vento e il Dio Salmone", un racconto ad ampio respiro e molto evocativo che sfrutta la difficile prova a cui si sottopone un giovane guerriero della tribù dei Powhatan alle prese con uno spirito della natura, per ricordare usi e costumi del magnifico "Popolo degli uomini", unico e vero erede degli sterminati territori del Nord America.
Alito di vento e il Dio Salmone
Racconto attorno al fuoco
“Ci fu un tempo in cui questa terra era nostra. In quel tempo il sole sorgeva ogni giorno sulla grande nazione Algonchina e scaldava la terra portando ciò che ci era necessario: frutti, alberi, animali. Il grande spirito che governa il mondo non era ancora adirato coi suoi figli e appena sopraggiunto l’inverno copriva il suolo con un manto nevoso, rinnovando la promessa di vita che preparava l’arrivo della nuova stagione. La caccia era abbondante, i pesci dentro fiumi e laghi si moltiplicavano per sfamare il “Popolo degli uomini” e i clan prosperavano nonostante le guerre con fratelli di lingua diversa. Le ossa degli antenati defunti proteggevano la loro discendenza perché il cerchio avesse sempre un centro e quando lo spirito chiamava a sé l’uomo rosso, sapevamo che avrebbe cavalcato nelle praterie dei cieli accanto ai suoi parenti. E questo era bene. Con l’arrivo dell’uomo bianco quel tempo propizio è finito e per la tribù dei Powhatan, come per tutto il resto della nazione rossa, la siccità è scesa nei cuori e ha inaridito ogni cosa fino alle lacrime dei nostri occhi.
Hanno portato malattie sconosciute dai nomi terribili di vaiolo, tifo, influenza, difterite, morbillo, peste. E con esse seminato morte tra vecchi e giovani, indistintamente… Hanno insegnato il vizio che ha minato le generazioni più forti rendendole fragili fino a togliersi la vita, e scatenato guerre senza onore dove prima erano coraggio e rispetto che parlavano al nemico. Ora siamo deboli, i nostri corpi sono fiacchi e le nostre menti sono state domate, il canto che il guerriero leva verso il cielo è solo un flebile lamento senza orgoglio e rimane inascoltato… Viviamo di elemosine, del poco che l’uomo pallido ci ha concesso; le terre che il grande Essere sapiente ci aveva donato e reclamavamo nostre non lo sono più e ciò che prima non aveva nomi né confini adesso si chiama: Timiskaming* … La riserva, così la definiscono coloro che l’hanno creata… Timiskaming, a nord del fiume Ottawa nella nazione chiamata Canada.”
“Perché mi dici tutto questo, nonno? Il mio cuore è gonfio di tristezza, adesso.”
[*] Riserva indiana nella regione Abitibi-Témiscamingue del Quebec, Canada, appena a nord della testa del lago Timiskaming.
“Non voglio essere testimonianza di una vergogna!”
Il vecchio indiano fece dei segni rivolto verso la notte stellata che stava per sopraggiungere mentre il suo volto si accartocciò indignato.
“Non vi è stata vergogna per il Popolo degli uomini perché il nemico era mille volte le stelle nel cielo! Vi è forse vergogna per il poderoso orso se viene sopraffatto dal branco di lupi affamati?! Fiero, il re delle foreste si erge sulle zampe posteriori e i suoi artigli scavano come lame tra le carni degli avversari, ma è destinato a soccombere perché il sacrificio dei primi lupi che attaccano serve agli altri che, silenti, girano alle sue spalle. Così è stato! L’uomo bianco ha vinto con la forza del numero e dell’inganno… Non vi è alcuna gloria in questo.”
“Dunque è ciò che dovrò raccontare… L’orso si è battuto con tutte le sue forze ma è stato vinto, ed ora quel che di lui resta è fatto schiavo dei lupi. Perché il grande spirito ha permesso che ciò accadesse?”
“Nessuno conosce il suo volere e noi non siamo che polvere al suo cospetto. Il nostro compito in questa vita è rispettarne la volontà supplicando la sua benevolenza.”
Il ragazzo balzò in piedi di scatto e raccolse un sasso, poi lo scagliò con violenza tra le acque nerastre del fiume che gli scorreva innanzi.
“Se questa è la sua volontà io non la rispetterò! Io sono Mano Ferma della tribù dei Powhatan e le mie imprese parlano per me, sono il più forte e il più scaltro tra i giovani e non chiederò indulgenza se Lui ci ha abbandonati!”
Il vecchio indiano si strinse più forte nella ruvida coperta che gli avvolgeva le spalle.
“Obbedienza, giovane stolto! Sei solo una punta di freccia che non può colpire senza l’arco che la scaglia… Il Circolo degli anziani è l’unico che ha parola su ogni questione e, poiché l’uomo rosso possa sopravvivere, a loro viene delegata ogni decisione. La tua intemperanza mi ricorda la storia di un altro giovane guerriero, fiero e presuntuoso come te, in un tempo passato carico di speranze e di onore.”
Mano Ferma si gettò infervorato ai piedi del nonno e con espressione eccitata lo invitò al racconto.
“Ecco! Questo è ciò che il mio cuore vuole ascoltare! La storia di un guerriero orgoglioso che ha compiuto grandi gesta per la sua gente e sempre verrà ricordato come esempio davanti ai fuochi della sera.”
Le rughe del vecchio si stirarono, abbozzando la parvenza di un sorriso su di un volto che pareva scolpito nella pietra.
“Così sarà! È una sera buona per ricordare. Gli spiriti del vento dormono, l’imbrunire è freddo ma limpido. Getta altra legna sul fuoco e tienilo vivo finché avrò pronunciato quanto c’è da dire.”
Attendo il seguito di questo racconto spero verrà postato tutto, finale compreso, vero?
RispondiEliminaCiao, ti posso confermare che il racconto verrà postato tutto, ancora due puntate e potrai scoprire il finale della leggenda di Alito di Vento.
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