Brano tratto dal capitolo 3
Dejà vu
Qualche minuto prima delle sedici, interno della falegnameria.
L'ultimo asse di legno che bloccava l'entrata del nascondiglio era appena stato divelto. Mani nervose lo avevano sradicato provocando una torbida nuvola d'aria viziata e il fitto pulviscolo era asceso tra lame di luce che filtravano dalle finestre, fluttuando sospeso nello stanzone come se dallo squarcio schiuso nel terreno un polmone avesse ripreso in pieno a pompare il suo respiro.
Osservammo ammutoliti il passaggio che si palesava di fronte ai nostri occhi e per un istante il battito dei cinque cuori accelerò, danzando sulle note di un ritmo che presto avremmo imparato a conoscere molto bene. Avevamo scoperchiato una specie di vaso di Pandora o forse si trattava soltanto di un banale scantinato tra-boccante ragnatele, ma anche dopo che la sorpresa generata dall’insolita scoperta era andata sfumando restammo incerti su come comportarci.
Mentre ancora la polvere volteggiava nell'aria, Max s’inginocchiò affacciandosi nella cavità. Come sempre era stato il più sensibile nell’avvertire l'odore stantio di terra e di muffa salire, poi però aveva captato qualcos'altro, una nota indistinta più sgradevole che aveva finito per prevalere sul resto. Gradualmente il forte sentore di legno del quale era impregnato il locale andò ad attenuarsi così come l’effluvio penetrante delle fioriture di luglio, entrambi soffocati nella morsa di un lezzo putrescente.
Poteva esserci un animale morto là sotto. Ma come c’era finito?
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