Giallo: cronaca, cinema e libri, da dove nasce l'ispirazione per un racconto vincente!

 Giallo: cronaca, cinema e libri... da dove nasce l'ispirazione per un racconto vincente!


Oggi voglio parlarvi di come nasce l'idea, lo spunto che fa da innesco alla creazione di una trama sostanziosa, naturalmente visto da un'ottica del tutto personale perché ogni autore può vantare metodi ed esperienze differenti che lo portano a realizzare un determinato prodotto. 

Fantasia alla base di tutto? Non sempre, ma di certo quella non deve mancare. Nel mio caso, svilupparla ha avuto radici in un'infanzia densa di letture oltre che impegnata a giocare a pallone con gli amici. Sono passato dai classici fumetti per bambini come gli albi di Topolino, salendo gradatamente di genere e leggendo praticamente tutti i vari mensili editi dalla Bonelli, Tex, Zagor, Mister No, Magico Vento, Brendon fino ai più attuali Dylan Dog e Drago Nero. Un vero bagno di avventura che è di sicuro servito da stimolo per viaggiare con la fantasia. In contemporanea e appena l'adolescenza lo ha permesso, mi sono cimentato con i grandi classici della letteratura di ogni genere, dal "Moby Dick" di Melville ai romanzi di Verne come "Viaggio al centro della Terra" piuttosto che "20000 Leghe sotto i mari", toccando Salgari, Dumas e Tolkien per poi salire di contenuti più adulti con il Dracula di Stoker o il Frankenstein di Mary Shelley fino a giungere a Poe e Lovecraft autentiche scoperte. E da questi capisaldi nascono le prime ispirazioni per il giallo, per il mistery, il dark e la conseguente calata nelle profondità dell'animo umano, a volte autentico abisso senza fine. 


 Se è vero che le buone letture hanno fatto da base, altrettanto ha contributo la "Settima arte", il cinema. Ne ho divorato di ogni senza risparmiarmi qualche pesante mattone e da ciascun film vissuto ho saputo trarre il sottile piacere estetico di raffigurare le scene, incalzare con le battute, emozionare con l'intreccio della vicenda e stravolgere il tutto con un finale atteso. Non chiedetemi però classifiche di merito e nemmeno semplici citazioni, per un cinefilo appassionato è quasi impossibile scegliere fra centinaia di pellicole, molte delle quali rimaste nel cuore, ma posso affermare con certezza come il loro apporto sia stato elemento e fonte d'ispirazione determinante per alimentare la mia attuale carriera d'autore. Se c'è una cosa che mi fa enorme piacere quando leggo alcune recensioni riguardanti i miei scritti è proprio il fatto che venga sottolineato lo stile riconoscibile e ben definito e soprattutto il taglio cinematografico che riesco a trasmettere a molti racconti. 

Vi faccio partecipi di altri particolari, questi davvero molto personali, che hanno contribuito sin qui alla messa a punto delle mie storie. In primis un intero ventennio trascorso fra le aule dei vari tribunali penali, negli uffici di magistrati o addirittura nelle carceri, svolgendo l'indispensabile lavoro di registrazione e trascrizione in centinaia di interrogatori e procedimenti. Professione, questa, che non poteva non lasciare un'impronta indelebile nel genere di scrittura che ho deciso di affrontare. Conoscere sul campo i metodi investigativi, interfacciarsi dal vivo con personalità criminali, raccogliere dettagli sui fatti di cronaca nera e su tutto quanto vi fa da contorno, è servito a rendere più credibili le storie che quotidianamente mi appresto a raccontare e a dargli quella patina cruda e intensa riconosciuta in tutte le mie trame. Svelo in ultimo un metodo di lavoro, empirico quanto istintivo, per fare da innesco quando le idee latitano o sono troppo banali; assolutamente da sconsigliare ai novelli scrittori e forse pure a quelli più affermati: apro un dizionario e mi soffermo su di un singolo termine, un vocabolo che mi attrae e mi piacerebbe sviscerare. E ne faccio una storia. Ma creare una storia isolando una singola parola è possibile, direte voi? Per rispondere coi fatti, sono nati così alcuni dei racconti più insoliti che ho scritto come Tanatofobia, Ossimoro, Memento Mori, Leucofobia e molti altri.




E per riportarvi nell'atmosfera thriller eccovi un altro brano tratto dal capitolo 10 del romanzo "L'Estate delle lumache colorate".



Capitolo X


La Falegnameria


Si diceva che il piccolo stabile fosse stato costruito sul finire degli anni Trenta. Gestito da una famiglia di esperti ebanisti, per oltre un ventennio aveva conosciuto una frenetica attività al servizio di svariati mobilifici sorti nella zona d'Ivrea. A inizio degli anni Sessanta i proprietari si erano trasferiti lasciando diversi debiti annessi e l’immobile era passato al demanio; da quel momento in avanti non era stato affittato né ristrutturato, condannandolo a un lento degrado. Nell’epoca d’oro per consentire i trasporti commerciali era stata tracciata una stradina, poco più di un sentiero che s'inoltrava qualche centinaio di metri all’interno del bosco, ma lentamente la natura si era ripresa indietro tutto trasformando il percorso in una specie di mulattiera zeppa di buche, sterpi e grosse pietre che rendevano l'ultimo tratto poco agibile per qualsiasi mezzo su ruote.

Conoscevamo ormai a memoria quel tragitto e per evitare spiacevoli quanto probabili forature si procedeva con prudenza accompagnando a mano le bici nell'ultimo tratto.

Come qualunque altro ambiente vittima d’incuria e abbandono, l'aspetto della falegnameria appariva piuttosto sinistro e non erano solo i nostri giovani occhi a vederlo così. La struttura stessa del fabbricato, annerito dagli anni e dal clima, sembrava possedere un'anima malevola evocatrice di atmosfere inquiete. Si reggeva faticosamente su uno scheletro corroso di pilastri e mattoni a vista e la sua copertura, assemblata con scaglie spioventi di ardesia mista ad altre pietre irregolari, proiettava ombre inquietanti che si allungavano sul terreno alla stregua di demoni appollaiati, pronti ad avventarsi su chiunque osasse disturbare il suo declino. Ritrovarsi di fronte a quella facciata appena sbucati dagli alberi creava un impatto emotivo difficile da spiegare. La porta d’ingresso era parzialmente divelta dai cardini, ma la cosa che sembrava dargli vita erano le due grosse finestre dall’insolita forma a semicerchio, due grandi occhi che da quando i vetri erano stati infranti parevano sorvegliare il sentiero con sguardi ancor più aguzzi e taglienti.

Il luogo si era conquistato fama maligna dalla precisa notte che sconosciuti ne avevano imbrattato la facciata con uno spray rosso sangue, riempiendola di simboli enigmatici. La bravata sarebbe forse anche passata inosservata se tra la babele di scarabocchi e misteriosi graffiti non fosse spiccato un disegno in particolare, unico a rappresentare un soggetto figurativo. Lo avevano collocato sul lato destro dell'ingresso, facilmente visibile appena si arrivava dal sentiero: la testa di un caprone inscritta in un pentacolo dalla quale scaturiva una scia di sangue che colava oltre il cerchio. E non ci voleva un esperto in campo esoterico per interpretare che incarnasse il male in una delle sue rappresentazioni più classiche.

Quell’episodio aveva dato il via a una ridda interminabile di voci finendo per accrescere la nomea negativa della falegnameria, quindi le credenze superstiziose di paese gli avevano sferrato il colpo di grazia attribuendogli persino la scomparsa della piccola turista tedesca. La definizione di edificio maledetto era di fatto divenuta il suo marchio. Qualcuno favoleggiava addirittura che al suo interno venissero praticati arcani rituali satanisti, in realtà mai nessuno aveva avuto prova di ciò, anzi, proprio per la sua ubicazione immersa in una zona boschiva fuori mano, la falegnameria durante il giorno veniva presa di mira da ragazzini che scorrazzavano tra il paese e le campagne in cerca di svago. La sera, invece, come testimoniavano i numerosi profilattici abbandonati nei pressi, era frequentata da qualche coraggiosa coppietta che non avendo altro posto dove consumare sfruttava le voci sinistre per trovare un po' d’intimità al riparo da occhi indiscreti.

Il divieto dei genitori verso quel luogo era pressoché tassativo e anche chi non dava ascolto alle credenze lo riteneva inadatto per mandarci i propri figli a giocare. Tuttavia, nei giorni d’estate la nostra banda lo bazzicava con cadenza regolare: in una zona così parca di attrazioni rimaneva una fonte di svago dove potersi ritrovare al di fuori del controllo degli adulti per mettere in atto alcuni dei nostri giochi preferiti. E così accadde in quella prima uscita di luglio.

Quando appoggiammo le bici contro gli alberi di fronte alla falegnameria erano già quasi le undici. L'allegra caciara che ci portavamo sempre appresso cessò di botto: tutti gli anni il primo contatto con quel luogo era sempre di rispettosa diffidenza. È vero, almeno a parole, nessuno di noi credeva che il diavolo abitasse là dentro, ma nemmeno ci sentivamo di escludere a priori che qualcosa di reale su tutte quelle storie potesse anche esserci.

Lo spiazzo brullo che ospitava l'edificio era una distesa piatta di erba bruciata dal sole; sporadici ciuffi di sterpaglia più alta si erano infiltrati fra la pedana d’ingresso evidenziando lo stato di totale abbandono. Le impercettibili folate d'aria cessarono completamente avvicinandoci, aumentando la calura e cristallizzando uno scenario che appariva quasi irreale: un gigantesco sfondo teatrale di cartapesta dove soltanto il volo argenteo di piccoli insetti che fluttuavano impalpabili riusciva a comunicare una parvenza di vita. Il fabbricato stesso pareva sospeso all'interno di un globo di vetro dall'atmosfera rarefatta, silenzioso frammento di un luogo che un tempo era stato vivo di attività e persone e ora dal tempo veniva ignorato, confinato in un limbo sperduto.


Se volete conoscere la storia di Antonia e dei Fratelli del Bosco...
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Beh, allora questa è la storia che fa per voi.

L'ESTATE DELLE LUMACHE COLORATE

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